Vampirismo nell'Antica Roma. La strige e i vampiri per gli autori antichi - Storia Misteriosa, i grandi misteri della storia

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Il vampirismo nell'Antica Roma. La strige e i vampiri per gli autori latini

La figura leggendaria del vampiro che si nutre di sangue umano ha un riscontro nell'Antica Roma? L'indagine sulla figura mitologica della Strige.
Di Ivan La Cioppa - mercoledì 22 novembre 2023
Storia Misteriosa - Vampiri nell'Antica Roma? Articolo di Ivan La Cioppa
Dopo l'approfondimento sulla licantropia nell'Antica Roma, indagando sui lupi mannari o uomini lupo secondo le "testimonianze" degli autori latini, continuano i miei studi sulla storia romana "tinta di horror". In questo articolo vi parlo di creature terrificanti e "celebri" nell'immaginario collettivo, tanto quanto i lupi mannari: i vampiri.

Queste creature mostruose che tutti noi conosciamo hanno un effettivo riscontro anche nell'Antica Roma, anche se con le dovute differenze. Vi riporto una testimonianza molto importante contenuta nei Fasti (VI, 131-140) a firma di Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.), poeta romano, tra i principali esponenti della letteratura latina e della poesia elegiaca.
«Vi sono ingordi uccelli, non quelli che rubavano
il cibo di Finea dalla mensa, ma da là deriva la stirpe:
testa grande, occhi sbarrati, rostri adatti ai furti;
penne biancastre, uncino inserito nelle unghie;
volano di notte e cercano lattanti che siano privi di nutrice,
e straziano i corpi rapiti dalle loro culle;
si dice che con il loro rostro strappino le viscere dei lattanti,
e hanno il gozzo pieno del sangue bevuto.
Il loro nome è strigi, ma il motivo del nome è dovuto
al fatto che di notte stridono orrendamente.»
Storia Misteriosa - Ricostruzione di fantasia della strige
Dal testo suddetto, si delinea un essere raccapricciante dalla forma di un grosso uccello con artigli implacabili con i quali affetta i neonati e ne beve il sangue. Il suo nome è strix ("strige", in latino anche mormos); esso allude al verso abominevole che tale creatura emette di notte. La strige, per la sua valenza negativa, risulta essere solo di sesso femminile, nella migliore tradizione misogina romana, erede della cultura greca, foriera degli stessi pregiudizi. Infatti Antonino Liberale, scrittore e grammatico greco dell'età degli Antonini (II secolo d.C.), racconta che la prima strix fu Polifonte, i cui genitori erano Ipponoo e Trassa, figlia di Ermes. La donna fu punita da Zeus per il cannibalismo da lei praticato insieme ai due figli. Venne pertanto trasformata in strige, un essere simile al gufo perennemente affamato e che spesso si posiziona con la testa in basso e le zampe in alto (Metamorfosi, 22 di Antonino Liberale). In quest' ultimo passo si può trovare un parallelismo con il pipistrello, alter ego animale dei vampiri come descritti nella letteratura moderna.

Prima di Ovidio, anche Plauto, commediografo romano vissuto tra il 250 a.C. e il 184 a.C., cita la strix, assimilandola, nella forma a un grosso gufo (Pseudolos, 3,2). Una particolarità confermata anche dalo scrittore Petronio (Satyricon, 63) che sottolinea il suo verso stridente, elemento "ereditato" da alcune tipologie di vampiri moderni. La scelta del volatile non è casuale perché, nella cultura romana, il gufo era considerato portatore di sventura e malasorte (Ovidio, Metamorfosi, VI, 424-570). Al di là delle varie similitudini, l'elemento determinante che accomuna le striges ai vampiri moderni, è l' insaziabile brama di sangue, soprattutto di infanti, chiamata ematofagia. Ciò va riferito, nella cultura romana,  alla convinzione che il sangue avesse un potere rigenerativo, soprattutto se derivante da determinati soggetti come i gladiatori.
Esistevano i vampiri nell'Antica Roma? Da Ovidio a Plinio il Vecchio, le testimonianze degli autori dell'epoca...

A tal riguardo Plinio il Vecchio (Historia Naturalis, 28,4) ci racconta come i malati di epilessia succhiassero il sangue direttamente dalle ferite di un gladiatore morente al fine di guarire. Tale pratica viene confermata anche dall'enciclopedista del medico romano Aulo Cornelio Celso (De Medicina, 3,23,7) il quale specifica, ulteriormente, di bere dalla gola tagliata del combattente. Quest'ultima precisazione rimanda al modo in cui i vampiri moderni attaccano le loro vittime e cioè, mordendole alla gola. È qui, infatti, che il fluire del sangue è molto più copioso. Ma come i romani potevano difendersi dalle strigi? Ricorrendo a quella che oggi definiremo una "cacciatrice di vampiri", la dea Cardea, protettrice delle soglie e dei cardini delle porte, degli ingressi alle case e di coloro che vi abitano, soprattutto dei bambini. La divinità combatte le striges, evocata grazie a un rituale in cui viene adoperata una pianta sacra e con poteri apotropaici: il biancospino (Ovidio, Fasti, VI, 150).
Storia Misteriosa - Ricostruzione di fantasia della strige
Tale pianta, sia nella cultura celtica che in quelle greca e romana, rappresentava il passaggio tra il mondo dei vivi e  l'Oltretomba per via del suo complesso e scenografico processo di rinascita e trasformazione e il contrasto tra la bellezza dei suoi fiori e la pericolosità delle sue spine. Il potere protettivo del biancospino era molto sentito, tanto che veniva piantato lungo i confini dei terreni. Queste sue caratteristiche lo rendevano ideale simbolo di Cardea, custode dei bambini e degli adulti ospitati, difendendoli dalle strigi e dalle streghe. L'aglio, come arma formidabile contro le striges, viene citato nel II secolo da Quinto Sereno Sammonico, lo studioso che fu tutore degli imperatori Caracalla e Geta, che a sua volta rimanda ad una citazione del commediografo Vettio Titinio (Liber medicinalis, LVIII), il quale consiglia di appenderlo al collo dei bambini avvelenati dal latte di queste bestie immonde.

Nei secoli successivi, in seguito all'acuirsi della mentalità misogina veicolata dal Cristianesimo, la strige  andò a confondersi con una figura antropomorfa con poteri magici, sempre negativa, che prese il nome di "strega" (dalla stessa radice del termine latino). Questo essere conservò, comunque, alcuni tratti delle striges, come la bramosia del sangue dei bambini (accusa principale riportata nei processi relativi alla caccia alle streghe nel XVII secolo.) e come l'iconografico  viso col naso adunco assimilabile al becco del gufo. Eredi, in parte, delle creature romane si ritrovano anche nella tradizione romena dove per strigoi si intendono i non morti bramosi di sangue umano e capaci di trasformarsi in animali come pipistrelli, per certi versi del tutto simili alle striges.

Bibliografia e note:
  • "Fasti"e "Metanorfosi", Publio Ovidio Nasone.
  • "Metamorfosi", Antonino Liberale
  • "Pseudolos", Tito Maccio Plauto.
  • "Satyricon", Gaio Petronio.
  • "Historia naturalis", Plinio il Vecchio.
  • "De medicina", Aulo Cornelio Celso.
  • "Liber medicinalis", Quinto Sereno Sammonico.
  • Profilo Facebook ufficiale dello scrittore Ivan La Cioppa.
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