La Chimera di Arezzo: il capolavoro etrusco che incantò i Medici - Storia Misteriosa, i grandi misteri della storia

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La Chimera di Arezzo: il mito e il capolavoro etrusco che incantò i Medici...

Nata dal bronzo e dal mito, la Chimera di Arezzo racconta l’incontro tra l’eroe Bellerofonte e la bestia, tra la raffinata arte degli Etruschi e la meraviglia dei Medici...
Di Andrea Contorni - lunedì 06 novembre 2025
Storia Misteriosa - La Chimera, il suo significato e il mito di Bellerofonte
Tra mito, arte e archeologia, la Chimera di Arezzo continua a raccontare una storia di potere, bellezza e mistero. Un bronzo che unisce il coraggio dell'eroe Bellerofonte al genio degli Etruschi.

L’eroe Bellerofonte, il cui vero nome era Ipponoo, era discendente di Sisifo, fondatore e primo re di Efira (Corinto). Alcuni autori lo considerano primogenito di Glauco, sovrano di Corinto dopo il padre Sisifo, e di Eurimede principessa di Megara. Per altri invece il padre di Bellerofonte era Poseidone che una notte giacque con la bella Eurimede. Il giovane eliminò involontariamente un certo Bellero, altro sovrano corinzio. Perse il suo nome originale e divenne appunto Bellerofonte, l'uccisore di Bellero. Per tale motivo se ne andò in esilio a Tirinto incappando nelle ire funeste della regina Stenebea. La donna si innamorò di Bellerofonte, ma dinanzi al rifiuto convinse suo marito, il re Preto, di essere stata sedotta dall'ospite. Il sovrano non ebbe il coraggio di contravvenire alle regole dell'ospitalità assassinando Bellerofonte. Lo mandò dal suocero Iobate, re di Licia, con una missiva che ne chiedeva l'uccisione. Ma anche Iobate si trovò nella stessa situazione di Preto. Ebbe la brillante idea di ordinare a Bellerofonte di eliminare la Chimera. Ci avrebbe pensato il terribile mostro a uccidere il malcapitato.
La Chimera e il mito dell'impresa eroica di Bellerofonte...
Storia Misteriosa - La Chimera di Arezzo
Bellerofonte è ricordato per una delle imprese più leggendarie della mitologia greca: l’uccisione della Chimera che oltre all'aspetto terribile sputava anche fiamme. Come voleva la tradizione nell'Antica Grecia, prima di ogni impresa bisognava consultare un oracolo. Bellerofonte si rivolse a Polido che gli consigliò di ottenere l'aiuto di Pegaso, uno straordinario cavallo alato e selvaggio. Con l’aiuto della dea Atena, che gli donò una briglia d’oro, lo sfortunato eroe riuscì a domare Pegaso. Solo grazie a quella creatura divina poté affrontare la mostruosa bestia che devastava le terre di Licia, in Asia Minore. La Chimera, il cui nome in greco significa “capra”, era un essere composito e spaventoso: corpo e testa di leone, coda a forma di serpente, anch'essa dotata di testa e, sul dorso, una seconda testa di capra che sputava fiamme. Era simbolo del caos e della distruzione, una sfida per qualunque eroe. Bellerofonte la affrontò dall’alto, in groppa a Pegaso, armato di una lancia che aveva sulla punta una sfera di piombo. Quando il mostro aprì le fauci, Bellerofonte gli gettò dentro la sfera metallica che si fuse al calore del suo respiro incandescente. La Chimera spirò tra atroci sofferenze. Bellerofonte non trattenne il proprio orgoglio e la vanità. Gli dèi si infastidirono e Pegaso disarcionò con violenza l'eroe. Questi sopravvisse alla caduta, ma, morso anche da un tafano inviato dall'Olimpo, rimase solo e infermo fino alla morte.

La Chimera di Arezzo è una delle più celebri rappresentazioni di questa creatura del mito. Venne alla luce il 15 novembre del 1553 durante i lavori di costruzione delle fortificazioni di Arezzo, promossi da Cosimo I de' Medici. Gli operai scoprirono tra le macerie di un'antica stipe votiva una straordinaria statua di bronzo raffigurante proprio la Chimera. Il documento ufficiale dell'epoca recita: "[...] si trattava di un leone di bronzo, di grandezza naturale, eseguito in modo elegante e ad arte, feroce nell'aspetto, minaccioso per la ferita che aveva nella zampa sinistra, [...] Il nostro Principe comandò che quest'opera così eccellente fosse portata a Firenze." Cosimo I fu talmente affascinato dalla figura potente della Chimera da volerla immediatamente trasferire prima a Palazzo Vecchio e poi nel suo studio personale a Palazzo Pitti. Benvenuto Cellini, che ebbe modo di ammirarla da vicino, riporta: "Il duca ricavava grande piacere nel pulirla personalmente con attrezzi da orafo."
La Chimera di Arezzo: tra mito e arte, l'eredità del capolavoro etrusco...

La Chimera di Arezzo, oggi custodita al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, è una delle più alte testimonianze dell’arte etrusca. Datata ai primi decenni del IV secolo a.C., è alta circa 78,5 cm e rivela nella sua fattura la maestria di abili fonditori e artisti etruschi. La creatura è raffigurata nell’atto di balzare contro un avversario: il corpo è teso, i muscoli contratti, la bocca spalancata in un ruggito che sembra ancora vibrare nel bronzo. La testa di capra, ferita e reclinata, allude al momento stesso della morte, mentre il serpente della coda, oggi ricostruito, aggiunge tensione e drammaticità alla scena. La statua, con ogni probabilità, faceva parte di un gruppo scultoreo in cui figurava anche Bellerofonte, forse posto di fronte all’animale in atteggiamento di attacco. Sulla zampa anteriore destra della bestia è incisa una dedica a Tinia, il Giove etrusco, che ne conferma la funzione sacra: la Chimera non era soltanto un simbolo mitologico, ma anche un’offerta religiosa, un ex voto di grande valore destinato a onorare la divinità suprema del pantheon etrusco.
Storia Misteriosa - Il mito di Bellerofonte e la Chimera
Dal punto di vista artistico, la Chimera di Arezzo rivela un perfetto equilibrio tra influenze greche e tradizione etrusca, un'armoniosa commistione di stili, tipica del gusto etrusco del IV secolo a.C. La resa del muso leonino e delle proporzioni rimanda al naturalismo ellenico, mentre la criniera, scolpita in modo quasi schematico, conserva un'impronta arcaica, cara agli artigiani italici. Questa fusione stilistica rende la Chimera di Arezzo un unicum nel panorama antico: un'opera in cui la potenza del mito si coniuga con la sensibilità artistica di un popolo che seppe assorbire e reinterpretare le culture del Mediterraneo, facendole proprie. Un dettaglio curioso riguarda la coda di serpente, la cui parte terminale originale non fu mai ritrovata. L’integrazione attuale risale alla seconda metà del Settecento e mostra una ricostruzione errata: il serpente addenta infatti il corno della capra, un gesto senza logica mitologica, poiché l’animale avrebbe dovuto aggredire il suo vero nemico, Bellerofonte. Per lungo tempo si è creduto che il restauro fosse opera di Benvenuto Cellini, ma studi successivi hanno chiarito che fu realizzato da Francesco Carradori o dal suo maestro Innocenzo Spinazzi, scultori attivi a Firenze in quel periodo.

La Chimera di Arezzo è un simbolo eterno del mito e dell'arte antica, una delle opere più affascinanti del nostro passato. È il punto d’incontro tra leggenda, arte e devozione, un frammento del pensiero etrusco che ci parla ancora di paura e di coraggio, di forze oscure e di eroi che le affrontano. Davanti al suo sguardo di bronzo, chi la osserva oggi può ancora percepire la stessa emozione che provò Cosimo de’ Medici quasi cinque secoli fa: e provareil brivido di trovarsi di fronte a qualcosa che appartiene al tempo del mito, ma che continua a vivere nella nostra immaginazione.

Bibliografia e sitografia:
  • "Arte nel Tempo", De Vecchi e Cerchiari. Bombiani (1995).
  • "Archeotoscana. Il blog della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana".
  • "Demoni, mostri e prodigi. L'irrazionale e il fantastico nel mondo antico", Giorgio Ieranò. Sonzogno Editore (2017).
  • Le fotografie della Chimera di Arezzo sono tratte da Wikipedia con la seguente Licenza di Utilizzo.
  • Le illustrazioni sono realizzate con l'ausilio dell'intelligenza artificiale.
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« LA MENTE AMA L'IGNOTO. AMA LE IMMAGINI IL CUI SIGNIFICATO È IGNOTO POICHÉ IL SIGNIFICATO DELLA MENTE STESSA È SCONOSCIUTO... »
René Magritte

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